A selection of articles about Luca Macchi´s aesthetic.
(English below)
A conclusione del percorso espositivo nella Sala del Caminetto, la potente sintesi cosmologica che Macchi ha inteso esprimere s’incontra, in termini figurativi attraverso tre personificazioni anch’esse classiche, “Il Cielo”, “La Terra” , “Il Mare”, sagome dipinte grandi più del naturale. Sono figure maestose, che svolgono attorno a sé il proprio spazio entro confini di volta in volta creati dalle pose dei corpi e dall’andamento dei pensieri, secondo ritmi segreti orditi dall’artista. Con i supporti sagomati, in andamenti spezzati e irregolari, Macchi si è infatti cimentato altre volte, raggiungendo effetti di volta in volta imprevedibili nell’amplificazione della figura.Nella triade di grandi sagome qui proposte da Macchi, i potenti demiurghi, dritti nelle lande vuote e desolate di un mondo primordiale, sembrano intenti a creare ognuno un Regno attraverso la rappresentazione della propria volontà, col gesto e col suono. Se nelle sembianze eroiche, presentate in una nudità all’antica appena panneggiata, i tre semidei risentono della statuaria greca che ha dettato i canoni dell’umanità d’Occidente, nel segreto racconto per immagini del loro lavoro essi condividono la poetica (e poietica) fatica degli Esseri soprannaturali che incontriamo nelle leggende della cosmogonia aborigena australiana: Esseri che nel Tempo del Sogno, precedente alla comparsa della vita, crearono per impregnazione spirituale il mondo e i viventi che conosciamo. E così il Cielo di Macchi pensa e crea la volta celeste, d’un blu profondo e prezioso costellato di corpi astrali a foglia d’oro. La Terra genera con la musica il bel profilo d’una catena montuosa in un paesaggio d’impronta toscana. Sul Mare ondeggia un’acqua pensile, verde al modo dei dipinti gotici e rinascimentali, già popolata di pesci dai contorni sinuosi e svelti.Con questa mostra Macchi aggiunge un altro prestigioso evento al suo lungo e intenso percorso artistico, e insieme dimostra – una volta di più – come si possa vivere e operare sul territorio, traendo da esso i succhi più vitali, senza tuttavia confinarsi in angustie provinciali e in localismi, ma anzi mantenendo aperti e fecondi dialoghi cultuali in un raggio amplissimo.
Cristina Acidini
Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno
E ora voglio dirvi cosa mi hanno detto i quadri di Luca Macchi quando mi hanno parlato. I fiori del magma e le Melancolie, bellissimi alberi, spesso con le foglie su fondo dorato, urlavano la loro bellezza contro cieli incendiati dal plutonio o nebbiosi per le scorie radioattive. Le mura di Orfeo impediranno per sempre la vista di Euridice, che rimarrà sotterrata nell’Ade, e anche il bacio sarà falso e le labbra non si toccheranno; la catastrofe sarà così immane da trascinare sottoterra perfino la Poesia.
Marco La Rosa
(Da “Ascoltare una mostra”, Il Grandevetro, autunno 2016)
Ma dicevamo dell’oro, che prorompe dai toni scuri che caratterizzano molte delle opere. In forma di foglie anche vere, raccolte e poi rese perenni dalla doratura, foglie morte e “risorte” che s’impongono come punto focale, oppure di schegge triangolari, segni posti tra terra e cielo. Si tratta in ogni caso di una religiosità che si rende evidente e che accompagna e forse determina il percorso verso il crescendo di luce degli ultimi anni.
Marco Lapi
(A Certaldo il “percorso” del pittore Luca Macchi, Toscana Oggi, 29 maggio 2016)
Lavora alla maniera antica Luca, con acrilici matite legni incollamenti di scritture e foglia d’oro.
Foglia d’oro.
Da Bisanzio a Orfeo a Venezia a Rubliev.
Chi è il mito della foglia d’oro?
Bisogna andare prima di Cimabue per ritrovarla.
Nell’oro che Luca usa con delicatezza c’è il filo (pittorico) del suo dialogare col mito – il viaggio della zattera, la testa di Orfeo, il muro, l’uomo albero, i cipressi (magici), il gemmare, le aperture di luce.
L’oro e l’azzurro – deposti vicini con gentilezza e silenzio – sembrano stare in dialogo segreto, a suggerire una salita, un’ascesa e ascesi. Ascesa e ascesi che viene dall’intensità delle vie e dei colli e crinali e pendii intorno – dall’anima paesaggio. Pittura intrisa di ascolto e sguardo.
Giuliano Scabia
(da “Luca Macchi – Immagine del mito”, catalogo della mostra al Palazzo Pretorio di Certaldo, ed. La conchiglia di Santiago, 2016)
I manifesti del 1998, 1999, 2012, 2013 di Luca Macchi rivelano un artista dal segno deciso e luminoso, capace di penetrare con profondità nel testo del dramma rappresentato, in virtù di una concezione incentrata sulla sacralità dell’essere e permeata da una luce trascendente che inonda e impreziosisce soggetti e composizioni.
Ilario Luperini
(Settanta anni di manifesti, pag. 12, Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato, 2015)
Pittura iconica la sua, ricca di colore e ben strutturata nella composizione grafica dedita ad un espressionismo di sapore simbolista. (…) L’artista non si sottrae, tuttavia, alla ricerca introspettiva dell’essere umano mostrandoci ritratti muliebri ricchi di pathos esistenziale e Nature morte dalle succose qualità cromatiche.
Giorgio Pilla
(Mostra al Centro d’Arte San Vidal, Venezia, in Gente Veneta, 28 febbraio 2015)
Luca Macchi da sempre attraversa il mito, dipinge icone straordinarie dove antichi eroi continuano ad illuminarci con la loro immagine di gloria e di potenza. Non c’è altro, si mostrano e alzano la loro luce sullo spettatore, lo osservano, distanti, sono mito, un mito che i normali fatti quotidiani non scalfisce.
Luca Macchi ne è sacerdote, anche la sua esistenza appare scandita da queste immagini, il mondo, almeno in apparenza, può scorrere come il fiume sotto al ponte, lasciandolo indifferente. L’oro che spesso appare nei suoi quadri è il colore della luce, ma anche quello della distanza, insieme alla ieraticità delle sue rappresentazioni pittoriche.
Andrea Mancini
(Luca Macchi: Immagine e mito, Festival del Pensiero Popolare, 2014)
La saggezza consiste infatti nell’assunzione di coscienza del mondo, delle cose stesse, dell’uomo in quanto parte dell’universo, senza inutili scetticismi, ma considerando i propri limiti e la propria pochezza a petto dell’eterno. Allora l’itinerario di Luca Macchi, attraverso il boschetto di cipressi, la strada perigliosa nel paesaggio agreste, la foglia di vite – reliquia come l’albero axis mundi permette di capire la sacralità della vita e la volontà di viverla palmo a palmo per organizzare il tempo che fugge – come sottolinea Seneca, senza disperderla in vane promesse e giochi fortuiti, confermando la responsabilità verso se stessi e gli altri, come fatto di coscienza. “Amici, dalla barca si vede il mondo” scriveva Mario Luzi in una delle poesie della sua prima raccolta pubblicata nel 1935, e anche una verità che lo trascende. Il tragitto di Luca è compiuto navigando su una zattera, come ognuno di noi nell’intento di operare un’azione salvifica della poesia come arte e di raggiungere diversi porti non mai ultimi per riprendere il cammino nel mare magnumdell’esistenza.
Alessandra Scappini
(mostra personale al Sincresis di Empoli, 2014)
Sono esposte a Roma, nella storica Galleria La Pigna, numerose opere di Luca Macchi, anagraficamente cittadino della toscanissima San Miniato, ma artista noto in tutta Italia per i suoi lavori presenti un po’ ovunque e specificatamente conosciuto nel vasto mondo dell’arte. (…) Sarà l’incontro con l’altro samminiatese Dilvo Lotti – al quale subentrerà nella realizzazione degli elaborati per la prestigiosa rassegna di “Teatro dello Spirito”, altresì affiancando ad essa lavori per rappresentazioni teatrali da Roma a Taormina – e con il fiorentino Mario Luzi, una delle voci poetiche italiane più vibranti, a infondere nell’animo di Luca Macchi una più profonda vena lirica orientata al religioso e al sacro, come testimoniano numerosi lavori.
Dante Fasciolo
(Toscana Oggi, 24 giugno 2012)
Stratificazioni segniche e coloristiche improntano l’arte di Luca Macchi, incentrata sulla sacralità dell’essere e permeata da una luce trascendente che inonda e impreziosisce soggetti e composizioni. (…)
Sperimentatore di tecniche e materiali, Macchi trasforma in arte legni consunti ricontestualizzandoli e donandogli nuova vita attraverso l’uso della foglia d’oro, come ne La nave del tempo del 2002 o addirittura facendo interagire materia “inerte” e vivente come nell’installazione che vede protagonista l’albero della vita avvolto dalle spire di un filo di rame che simula il serpente del peccato originale. (…)
Raffigurato con la stessa iconografia è Orfeo, figura ricorrente nei suoi lavori, sia negli acquerelli che nelle acqueforti, caratterizzati da visioni oniriche surreal – metafisiche di forte impatto visivo. Orfeo, il cantore in grado di ammansire gli animi, umani ed animali, più feroci, assimilato all’iconografia di Cristo in epoca paleocristiana per il suo viaggio negli inferi, prefigurazione della morte e resurrezione, viene raffigurato da Macchi come tramite tra cielo e terra, in opere sofferte, stratificate, combuste.
Cinzia Folcarelli
(dal catalogo Liricità e Sacralità, Galleria La Pigna, Roma 2012)
La materia è, nel percorso di Luca, un punto di partenza. Dopo aver scavato tra le sue possibilità espressive, l’artista si è lanciato verso l’alto, con uno sguardo al cielo e a ciò che simboleggia. Nelle opere della metà degli anni Novanta, come Luce (1995, foto B/N e foto a colori) ci presenta un uomo di spalle rivolto agli astri; la distanza ravvicinata e la presentazione bidimensionale dell’immagine ci indicano una ritrovata armonia.
Quella di Macchi diventa, oggi, una sorta di preghiera laica. La sua pittura cerca un barlume di humanitas all’interno dell’uomo stesso. Con la fiducia di trovarla. Le sue Tavole della luce, presentate da Nicola Micieli nella personale al Palazzo dei Priori di Volterra (16- 19 giugno 2002), ci mostrano aperture accoglienti spalancate su sfondi scuri. Orfeo (2002) è il volto di una scultura classica segnato dal bruciare di una candela. Un moderno ex voto su una tavola centinata, che richiama la devozione popolare.
Silvia Bottinelli
(St-Art, le terre del Rinascimento, cd-rom, Regione Toscana, 2003)
Ha una sua statura storica e stellare Padre David Maria Turoldo di Luca Macchi. Artista di grande temperamento, residente a San Miniato, il Macchi alterna vampe di luce con una scrupolosa e insistente grafia descrittiva, perché nulla vada perduto e si consegni: a questo tempo pereunte – tipizzato e vegliato dalla candela – e ad una memoria astrale – concentrata nel segno d’oro nel cielo – che è il luogo definitivo della poesia e (l’altra ala della figura di Turoldo) delle forti “ragioni” della fede.
Giuseppe Billi
(L’arte che guarda in volto la pace, in “I volti della Pace”, Aula Pacis, San Miniato 2000)
Bisogna subito dire che quella di Macchi è una pittura di impronte, di segni labili, di tracce depositate dal tempo, o forse meglio catturate dalla sensibilità dell’artista nel loro trascorrere in quelle zone dello spirito che sono luoghi della memoria appunto. Per questo i dipinti di Macchi hanno una particolare capacità evocativa, suscitano emozioni sottili, molto vicine al rapimento poetico.
Nicola Micieli
(dal catalogo della mostra nella Torre di Filippo il Bello a Villeneuve Lez Avignon, 1999)
La mostra di Luca Macchi è annunciata come evento pittorico nella ex cripta del Convento di San Francesco qui a San Miniato. (…) È tutto un cammino che narra la metamorfosi che va dalla materia inerte verso la natura vivente e canta a suo modo la bellezza del volto umano che finalmente riesce libero dalle simmetrie geometriche che sembravano imprigionarlo. È un’esperienza che parte dagli aspetti scabri della natura per approdare alle luminescenze improvvise della realtà: a dire che in fondo non ci troviamo nell’antro del minotauro spuntano lune d’oro e costellazioni di luci, quasi ad indicare che esiste ancora per l’uomo una via d’uscita.
Luciano Marrucci
(Toscana Oggi, 2 giugno 1996)
A me piace questa leggerezza di Macchi, proprio la sua evidenza e quel candore di esecuzione – mi riferisco alle ultime cose – che fanno intravedere un oltre senza forzature, con la semplice linea espressiva che deriva dal segno, dai materiali, dai colori, dal diffondersi caldo della luce. E le stesse valenze simboliche (degli ori, delle costellazioni, delle forme geometriche come triangoli e falci) mi appaiono razionali e suggestive nello stesso tempo.
Valerio Vallini
(da Dal magma alla limpidezza, in Erba d’Arno, n. 66, 1996)
In parallelo e al contrario Luca Macchi è stato tentato dalla visione statica di una
onnicomprensiva instanza del significato, senza priorità né gerarchia di elementi, ma anche senza disordine. Essa può darsi in ogni accidentale coesistenza di realtà materiche. L’altro movimento è quello che potremo chiamare di affrancamento dall’espressivo o espressionistico della tradizione, dicevo, sanminiatese, la cui ascendenza risale a Pietro Parigi, in favore di una semplice e chiara enunciazione la quale assume un immediato e trasparente potere simbolico. Tutto sta nella limpidezza congiunta dell’ideazione e della esecuzione. Non si presumono secondi piani, tutto è nell’evidenza e non alluso – eppure proprio questa equalità diventa simbolica. Simbolica senza simbolismo, potremo dire.
Mario Luzi
(dal catalogo della mostra nella Ex Cripta di San Ludovico d’Angiò, Convento di San Francesco, San Miniato 1996)
Il mondo di Luca Macchi si esplica in sussulti talora di una geometricità complessa, con figure regolari nella loro matematica irregolarità, dalle superfici cerate, morbide e scivolose allo stesso tempo. La parola scivola via dalle superfici, si appende alle linee, alle altre figure inscritte nelle figure. Ad evocare una regolarità spasmodicamente e idealmente voluta. Se la composizione nega l’armonia, il cuore deve essere armonico. Armonico e musicale.
Ilaria Mariotti
(dalla presentazione alla personale allo Studio Gennai, Pisa 1992)
I quadri di Macchi ci fanno avvertiti di un estro non gratuito né superficiale. La materia è ricca, a volte prende il sopravvento col fulgore, dei rossi e dei blu, o, più spesso, è in funzione diciamo paritaria con gli altri elementi: con un disegno anche perentorio, con gli spazi rigorosi.
Per questo, nella pittura di Macchi, non ci sono un “fondo” e un oggetto impostato su quello, ma l’oggetto, potremo dire, è tutto il quadro, coi particolari che s’intersecano, si incontrano, qualche volta si scontrano: si tratta di un modo insolito di sentire l’informale.
Piero Santi
(dal catalogo della mostra alla Galleria L’Upupa, Firenze 1988)
La personale rilettura del mondo dechirichiano comporta in Luca Macchi un elemento interpretativo caricato, la contrapposizione del bianco e nero: il nero delle ombre risentite. Le ombre oniriche – e mitiche del Maestro – nel giovane seguitatore si mutano in espressionismo plastico, il che è cosa assai diversa.
Dilvo Lotti
(dal catalogo della personale alla Galleria delle Arti, Pisa 1986)
Macchi´s sky has it´s own life, almost generating itself: deep and precious blue shades host bright constellations made of gold leaf. With a musical tempo, The Earth is shaped in the form of mountains and hills that remind of Tuscany. On the Sea, the water is green and thick, similar to Gothic and Renaissance paintings, populated by fishes drawn by sinuous lines. With this exhibition Macchi adds another prestigious event to his already long and important artistic career, and at the same time he shows that it is indeed possible to live and work locally, taking inspirations from the surroundings, without being confined in narrow perceptions and frames of mind. Instead, he maintains an open and fruitful artistic dialogue, of extremely broad span.
Introduction by Cristina Acidini to the exhibition Le Edicole del Sacro e del Mito, San Miniato, 2018
At the historic Galleria La Pigna in Rome are shown several works by Luca Macchi, an artist living in San Miniato, Tuscany, and well known all around Italy and in the vast art world. (…) His friendships with both Dilvo Lotti, an artist from the same town (…), and Mario Luzi, one of the most important among Italian poets, were crucial in the development of a deeper inner dialogue inside Luca, ofter involving the sacred and religious aspect of human existence, as shown in many of his works.
Article by Dante Fasciolo on Toscana Oggi, 24 giugno 2012, on the exhibition at Galleria La Pigna, Rome.
The painting style typical of Luca Macchi is made of footprints, traces and signs, captured by the artist´s sensibility in certain spaces of the soul that are inhabited by memories. For this reason, Luca´s paintings are particularly evocative, bringing deep emotions out of one’s chest; something that is very similar to ecstatic rapture.
Introduction by Nicola Micieli, catalogue to the exhibition in the Phillip The Fair Tower, Villeneuve Lez Avignon, 1999.